Cammino di pazze emozioni

Supertramp Take The Long Way Home

Il Cammino ti mette di fronte all’assurdità della vita

Facendo il Cammino si percorrono due percorsi differenti uno dentro di te ed uno fuori.

Quello esteriore di porta dalla Francia a Santiago attraverso panorami ogni giorno differenti , passando da citta bellissime a paesini sperduti, tra pianure infinite che si perdono all’orizzonte e picchi rari ed inattesi che ti avvicinano giorno per giorno alla meta.

Ma questa parte del viaggio  ben conosciuta e descritta in tante guide è democratica, uguale per tutti.

E’ l’altra parte del viaggio che che è per tutti differente, il viaggio interiore.

Il mio viaggio emozionale

Fin dal giorno zero il Cammino mi ha fatto vivere un ampio spettro di emozioni.

I giorni prima della partenza un po’ di ansia per questa avventura che io sapevo borderline rispetto alla mia preparazione atletica mi teneva sulle spine. A questa si accompagnava un sottofondo di incertezza per il viaggio organizzato interamente da me e che doveva portarmi dalla mattina alla sera da casa mia a SJPP. Viaggio che comprendeva metro, navetta, aeroplano, bus e per finire due tratte in treno. Nessun grosso dramma, i tempi erano larghi ed anche se fosse successo qualche imprevisto il peggio che poteva capitare era impegnare una giornata ( dire perdere una giornata quando sei in giro fondamentalmente a divertirti mi sembra scorretto) facendo un po’ di turismo. Ma così non è successo, in un decrescere di apprensione tutti gli orari si sono incastrati ed alle 18:00 dopo 17 ore di viaggio mi presentavo all’Ufficio dei Pellegrini per ritirate la mia credenziale.

Il primo giorno essendo cosciente, da tutte le letture fatte ed i video studiati a casa, della difficoltà della prima tappa la partenza è stata un mix di sentimenti contrastanti.

Sicuramente il primo e più grande è stata la gioia di essere li a cominciare questa avventura sognata da anni. Di sottofondo una leggera ansia di sapere di fare qualcosa di non ordinario, per molti considerata una pazzia, di intraprendere un esperienza che anche se in tantissimi fanno a tutte le età non è per tutti sia fisicamente che mentalmente. Un gradino più in alto , diciamo a metà strada tra ansie e gioia, la preoccupazione per la mia scarsa forma fisica. Ero cosciente che il miei allenamenti erano stati a stop and go. Una settimana facevo 40 km in un giorno e poi niente per le settimane dopo. Ma ero anche convinto che il mio fisico temprato da anni di dura fatica in un lavoro manuale e molto particolare ce la potesse fare ed avevo la certezza che il mio cuore era a posto grazie ad una visita medica preventiva e che il mio cuore stesso insieme ai miei polmoni erano stati definiti da diversi dottori “da sportivo” nonostante sportivo non lo sia mai stato, almeno professionalmente parlando. Quindi non era quella la preoccupazione, ma quella prima salita era per me una fonte di ansia subdola, che forse non volevo percepire ma che sicuramente lavorava contro di me.

Ma col primo passo dopo la porta della città tutto questo era sopraffatto dalla felicità di essere li. Ed il percorso che nei primi chilometri mi graziava con una leggera pendenza sembrava accogliermi e spronarmi. Poi gli incontri con i primi pellegrini come me, le prime involontarie conoscenze, la bellezza del panorama, tutto rischiarava il mio umore…per poi farlo inabissare con i primi strappi in salita. Quando fermo a bordo del sentiero come uno sciatore a bordo pista con le gambe legnose, il fiato ti manca, i polmoni sembrano scoppiare, la milza di dà delle pugnalate nei fianchi e lo zaino mal portato ti taglia le spalle, ecco che tutte le certezze sembrano sparire e la paura di non essere realmente all’altezza dell’impresa prende il sopravvento. Ma finito il primo lungo strappo, arrivato al rifugio sudato come dopo il bagno di ferragosto, ti siedi e ti mangi un pezzo di torta guardando il panorama dei Pirenei di fronte a te il coraggio ti riprende, come la voglia di finire la tappa. “Il brutto tanto deve essere passato” cerchi di convincerti. E ci riesci per un poco fino a quando le salite, meno impegnative ma costanti non ti si ripresentano davanti. E qui le montagne russe dei  tuoi sentimenti variano in tutto il suo immenso spettro, dalla disperazione alla gioia. Ma se riesci a controllare lo scoramento e lasci che i piedi vadano come da madre natura progettati uno davanti all’altro a metà pomeriggio ti ritrovi a Roncisvalle, alla fine di questa prima infinita giornata.

A Roncisvalle si cominciano a provare le prime esperienze da pellegrino. Le camerate , i bagni in comune, la cena con sconosciuti possono essere prove che se mai affrontate possono portare momenti di imbarazzo, ma il fare parte tutti della stessa tribù che cammina ( volevo scrive “Tribù che balla”, da  Jovanotti, ma cosi mi sembra suoni meglio) affievolisce il pudore e la riservatezza e le cose vanno come si suppone che debbano andare.

Da quel giorno in poi il circolo delle varie sensazioni e sentimenti si ripresenteranno ad intervalli regolari. I primi acciacchi per i tanti chilometri fatti tutti i giorni, le prime piogge, i primi giorni di sole a picco, il vento freddo che ti asciuga le felpa bagnata dallo sforzo ma anche i panorami spettacolari, le albe, i tramonti, i cieli stellati nelle notti o nelle mattinate fredde, i lunghi sentieri davanti a te dritti come fatti con la riga, la bellezza delle città e la naturalità dei villaggi, le mesetas…un su e giù di sensazioni che non aspettano altro che di essere vissute.

Perché il Cammino, ed è qui che volevo arrivare, deve essere vissuto.

Un peccato ignorarlo prendendolo come una gita turistica od affrontarlo come una corsa per vedere chi arriva prima. E’ come un vino d’annata, deve essere assaporato e goduto, non tracannato, se ne perde il gusto, il sapore vero.

Ed il Cammino ti riporta ad una vita più semplice e naturale che amplifica tutte queste sensazioni allontanando, se glielo permetterai, tutti gli inciampi, obblighi, impegni della vita che hai lasciato a casa.

La vita è più semplice. Alzarsi, fare colazione, pranzare ed arrivare sono gli unici impegni della giornata. E se tu riesci a prenderli con leggerezza abbandonandoti al Cammino esso ti lascerà tutto il tempo per goderti le bellezze che ti sono intorno, facendoti incontrare persone che troverai sempre pronte ad un contatto umano, a fare quattro chiacchere, a condividere i tuoi pensieri o aiutarti a superare momenti difficili. Oppure se vorrai potrai immergerti in te stesso, alla ricerca di quell’equilibro interno che in questi giorni è facile perdere e difficile da riacquisire.

Ed in questo mix di sensazioni ed esperienze la meta che sembrava lontanissima all’improvviso è li.

E quando ti trovi davanti alla Cattedrale a Santiago il sentimento comune è la felicità di essere arrivato alla meta e la tristezza della fine di questa incredibile avventura.

Purtroppo anche se mi spaccio per tale non sono uno scrittore né un poeta, la mia cultura tecnica poco si adatta a descrivere quello che ho provato in quei giorni sul suolo spagnolo. Vorrei trovare le parole giuste, ma non credo di esserne capace.

Tutto quello che posso dire in chiusura è che quel vulcano di emozioni che  ho vissuto in quei giorni di settembre, quelle albe, quelle salite , quelle pianure senza fine, quei campanili lontani , quelle città bellissime sono diventate per me come il canto delle sirene e mi hanno trasformato in una versione buffa ed inadeguata di un moderno Ulisse al contrario, che tornato a casa cerca disperatamente di tornare a perdersi in quella Odissea di sensazioni che ha lasciato sparse come le briciole di pane di un novello Pollicino lungo gli 800 km del Cammino Francese…

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